Biografia Marlene Kuntz

Band di culto per diversi anni, i piemontesi Marlene Kuntz hanno poi imboccato una pericolosa deviazione "pop", conquistando le classifiche. Ma il loro rock livido e distorto non è scomparso. E ora vorrebbe tentare di varcare i nostri confini.

Sono stati per anni una band di culto, con un ristretto ma affezionatissimo pubblico. Oggi i Marlene Kuntz sono una realtà del rock italiano, riconosciuta un po' da tutti, come confermano anche i successi di vendite dei loro ultimi lavori. Ma Cristiano Godano e soci non hanno rinunciato ai loro "comandamenti", cercando di coniugare il noise-rock degli esordi con una forma canzone più accessibile al grande pubblico.

Più giovani di Csi e Afterhours, i Marlene si sono dimostrati capaci di incarnare le ansie e le sofferenze della nuova generazione alternativa, che li ha eletti a loro guru, un po' come era successo precedentemente con i Cccp. Un ruolo nel quale il gruppo non sembra però trovarsi a suo agio, "perché" - dice Cristiano Godano, chitarrista e cantante - qualsiasi creazione artistica deve essere slegata da messaggi e consigli su come comportarsi".
Il nucleo base dei Marlene Kuntz nasce da un'idea di Riccardo Tesio e Luca Bergia, che in quel di Cuneo, ancora adolescenti, si aggirano tra le mura della stessa scuola. Inizia così la ricerca del cantante, che porta alla scelta di Cristiano Godano (che suonava nei Jack On Fire).

Nel giugno del 1989, i primi concerti. Risale a quel periodo la nascita del nome Marlene Kuntz. Nell'inverno tra il 1989 e il 1990 la band realizza il suo primo demo. Poi ne seguono altri due, ma sempre senza esito. Nell'inverno tra il 1992 e il 1993, dal momento che non accade nulla, decidono di fare un ultimo tentativo dopodiché, in caso d'insuccesso, avrebbero rimesso tutto in discussione, con la concreta possibilità di sciogliersi. Sembra questo il loro destino finché, nel giugno del 1993, su "Rockerilla" esce una recensione molto positiva del loro terzo demo: "Grande rivelazione i Marlene Kuntz da Cuneo, un travolgente impatto elettrico, sciabolate di suono che fendono i migliori tratti del rock estremo italiano; finalmente i gruppi italiani cominciano a cantare nella madrelingua in modo convincente ed efficace. Se l' Ep di prossima uscita manterrà le promesse di questo nastro avremo tra le mani un disco dell'anno." La recensione e un insieme di circostanze favorevoli cambieranno tutto e dall'idea di un mini-cd i Marlene Kuntz passeranno alla realizzazione di un album.

Arriva così nel 1994 Catartica, disco-rivelazione del nuovo rock italiano, capace di mescolare inni al rumore e lievi melodie, rabbia post-punk e lirismo boemienne. Basti ascoltare l'ouverture di "M.K.", con il suo suono corposo e abrasivo, l'irata "Festa mesta", la sardonica "Merry X-Mas", la desolata "Canzone di domani" o il riff al fulmicotone di "Sonica" (destinata a divenire uno dei loro cavalli di battaglia nei concert). Ma il climax emotivo del disco è la struggente ballata di "Nuotando nell'aria", con una melodia irresistibile e un crescendo finale da brividi. I Marlene Kuntz diventano i portabandiera di un nuovo rock italiano, livido e lancinante, fortemente influenzato dal "noise rock" dei luminari Sonic Youth.



Il passo successivo li vede invece rimarcare la loro inquietudine esistenziale con Il vile, quasi il frutto di un'implosione del gruppo nel proprio dolore. L'arrivo del nuovo bassista, Dan Solo, di estrazione metal, incide sul sound dei Marlene, che si fa ancora più plumbeo e duro ("Cenere", "Overflash"). Non mancano comunque le ballate alla "Nuotando nell'aria", da "Come stavamo ieri" (altro futuro inno del gruppo) a "Ti giro intorno". Ma i vertici dell'album sono da rintracciare soprattutto nell'ode scomposta di "Ape regina" e nelle distorsioni al cardiopalmo di "L'agguato".

Il successivo mini-cd Come di sdegno prosegue sulla stessa falsariga, mescolando lampi di rabbia e sofferte introspezioni. Una dicotomia ben espressa dall'iniziale "Aurora", in cui la dolczza del suono si sposa a un testo particolarmente crudo. E se "Questo e Altro" sfoggia un inconsueto profluvio di campionatori, la traccia conclusiva, "La vampa delle impressioni" esaspera verve sperimentale e pretenziosità del gruppo, mescolando una improvvisazione in studio di mezz'ora con una tediosa declamazione di Godano, in un testo impregnato di ira e desolazione.

Ho ucciso paranoia, dai testi ancora una volta forti, ricercati e appassionati di Cristiano Godano, è un compromesso fra l'anima più melodica del gruppo e quella più inquieta. Se così alcune canzoni appaiono assai più convenzionali e easy ("L'abitudine", "Una canzone arresa"), non mancano sprazzi di desolante alienazione, come nell'iniziale "L'odio migliore", e scampoli d'intenso lirismo (la struggente "Infinità").

Indubbiamente, però, affiorano i primi germi di una contaminazione con un pop più di maniera e di facile consumo. Nessun calcolo commerciale, però, secondo la band. "Mi preoccupo solo che quello che facciamo sia in qualche modo completo, che abbia un fondamento e, come creazione, sia inattaccabile da più punti di vista", spiega Cristiano. A conferma di ciò, i Marlene Kuntz hanno lasciato all'ascoltatore la scelta di acquistare o meno in allegato all'album anche l'inedito e sperimentale "Spore", con un sovrapprezzo di poche migliaia di lire.

Con Che cosa vedi, il loro viaggio continua. Un viaggio sempre in bilico tra rumorismo alla Sonic Youth e melodia, che li vede per certi versi vicini agli esperimenti degli italo-americani Blonde Redhead. Restano le stimmate del suono-Marlene. E i trenta secondi iniziali di "Cara è la fine" lo spiegano bene: ritmo incalzante, chitarre graffianti, voce sofferta. Rispetto al disco precedente, l'approccio compositivo è cambiato, non ha paura di aprirsi alla melodia, da sempre presente nelle canzoni del gruppo piemontese, ma spesso nascosta sotto l'aggressività delle chitarre. I Marlene non hanno perso la cura maniacale dei dettagli (basti ascoltare le tastiere presenti nel disco, suonate da Gianfranco Fornaciari), né il loro stile. Ma l'hanno trasferito su un terreno dove non era mai stato. Con esiti non sempre all'altezza delle aspettative.

Nelle tredici canzoni del disco si spazia da atmosfere più sature ad altre più rarefatte. E se i sussurri di "La canzone che scrivo per te", in duetto con Skin degli Skunk Anansie, possono legittimamente alimentare un senso di mollezza (e di noia), a colpire sono soprattutto i testi, in "murder ballads" come "Cara è la fine" o in semplici canzoni d'amore come "Malinconica", in cui Cristiano Godano dà il meglio di sé, confermandosi anche una delle voci più espressive del panorama italiano. Nel complesso, però, la deriva pop è più che evidente e aliena ai Marlene le simpatie di molti fan della prim'ora.

Senza Peso (2003) esprime sin dal titolo la contraddizione insita da sempre nella musica dei Marlene Kuntz: un senso di leggerezza ("Nuotando nell'aria"...) contrapposto a un'idea di cupa gravità. Le loro sonorità si sono fatte quantomai secche e immediate, ma anche torbide e decadenti. Grazie anche alla produzione di Rob Ellis e Head, la band piemontese rispolvera scorribande rock degne dei tempi d'oro, come "Sacrosanta verità", "L'uscita di scena", "Con lubricità" e il buon singolo "A fior di pelle", alternate a ballate più tenui, come "Ci siamo amati" o "Schiele, lei, me". Il violino di Warren Ellis (Dirty Three) aggiunge un tocco di magia. E, a parte qualche imperdonabile banalità ("Ci sono istanti/ che vivere è una merda..." in "A fior di pelle"), i testi di Cristiano Godano hanno raggiunto una notevole intensità poetica, tra immagini cupe e citazioni di rilievo (Schiele, Updike). Rispetto alla scivolata commerciale del disco precedente, insomma, un piccolo passo avanti, che se non riporta la band ai fasti degli esordi, se non altro allontana le nubi di una degenerazione "stile-Litfiba" del loro sound .

Un cambio di notevole importanza ha caratterizzato il periodo di transizione dal precedente album a Bianco Sporco (2005), e cioè l'abbandono tutt'altro che pacifico da parte di Daniele Ambrosoli, sostituito al basso da Gianni Maroccolo pochi mesi prima della uscita del disco stesso. Il celebre bassista ex Litfiba e Csi ha così preso parte alle registrazioni dell'album affiancando Riccardo Tesio, Cristiano Godano e Luca Bergia, con il supporto di Rob Ellis per quanto concerne gli arrangiamenti di tastiere e archi. L'ascolto di questo nuovo album conferma anzitutto che i Marlene degli esordi sono definitivamente scomparsi. Godano e compagni appaiono vicini a quel cantautorato raffinato già lambito nel lavoro precedente, anche se il loro stile non rinuncia a impennate di rock più viscerale.
Sembra che il gruppo di Cuneo ancora non voglia decidere la strada da intraprendere, se rinunciare definitivamente a quei "fragori e schianti" degli esordi per percorrere la strada di un raffinato pop-rock impreziosito dai delicati scambi e fraseggi di Godano e Tesio, oppure ricercare un fragile equilibrio tra le due istanze. Curiosamente, il titolo sembra ricalcare questo dualismo insito nell'attuale musica del gruppo: bianca, nitida, pura e cristallina, ma capace ancora di produrre un rock sporco, duro, distorto.
L'album si apre con "Mondo cattivo", canzone abbastanza tirata che contiene quasi un avvertimento a chi si accinge ad ascoltare questo cd, un messaggio a "quegli stronzi che non apprezzeranno mai", che non hanno approvato la svolta sonora intrapresa con Che cosa vedi e proseguita tra le note del discusso Senza peso. La voce di Godano trascina il pezzo, uno dei più segnati dall'influenza dei Sonic Youth, verso un finale strumentale in cui emerge il basso di Maroccolo oltre ai consueti dialoghi chitarristici dello stesso Godano e di Tesio. "A chi succhia" parte come un tranquillo pezzo pop per approdare a un finale inaspettato. Stesso discorso valga per "Il solitario", che si evolve in un'atmosfera distorta e chiassosa. I Marlene non rinunciano a essere cattivi, ma ora lo fanno con estrema classe e purezza, mancando però dell'ispirazione, del "fuoco sacro" che animava i loro primi lavori. "Bellezza", il singolo che ha anticipato l'uscita dell'album, presenta un violino che rimanda alla musica dei Dirty Three e un ritornello che è quasi un manifesto delle scelte espressive di Godano e soci, caratterizzate da una perenne ricerca della raffinatezza estrema. "Poeti", forte di un testo notevole, è tra i pezzi migliori dell'album ed è seguita da una infernale "Amen", dotata di un pathos che rimanda con le dovute proporzioni alle atmosfere di "Ape Regina". "La lira di Narciso" sfugge alla consueta struttura di molte canzoni presenti in questo disco, anche grazie alla presenza di una parte narrata che riporta a brani come "La vampa delle impressioni", e "Vortice", ovvero alcune delle vette "sperimentali" della band. "L'inganno" richiama nelle parti strumentali trame slocore (Codeine) e post-rock (Mogwai). Degna di nota anche "La cognizione del dolore", liberamente ispirata all'opera di Gadda, in cui Godano urla con forza le strofe, fino a un finale che ricorda vagamente quello dell'epica "Nuotando nell'aria". Il disco si chiude con "Nel peggio", brano estremamente tirato, che trova una calma apparente nel finale.

Le canzoni tendono ad appiattirsi quasi tutte sulla stessa struttura, rinunciando in buona parte a quelle ambizioni sperimentali che non mancavano neanche in Senza peso, basti pensare a una traccia come "Spora 101".
Forse tutto ciò è un chiaro indizio di quello che sarà il suono dei prossimi Marlene, o forse no.

Con il successivo Uno (2007) la band di Cuneo che approda a un rock dal taglio nettamente autoriale, eppure oscuro o comunque elaborato, sonoramente ricco di sfaccettature. Un disco di disequilibri, in cui si osa su tutto, a partire dalla voce, dal mezzo falsetto evocativo di "Canto", un uso deliberatamente improprio del mezzo, dalla resa comunque accettabile. Proprio la traccia d'apertura è uno degli esperimenti più arditi, batteria vagamente jazz, colpi di cristalli, chitarrismo teso e involuto, lavorìo infinito di Marroccolo al basso, controcori e un inciso affatato e quasi lirico. Risultato gradevole, portato a compimento nella successiva "Musa", brano più pop che rock, luminosa ode che s'avvale del pianoforte di Paolo Conte.
Da "111" iniziano a emergere dubbi sulla fattibilità e riuscita del progetto. Canzone a due facce, prima parte con chitarrismo lento e avvolgente, seconda con esplosione di suono violento, poco convincente in ambedue i versanti. "La ballata dell'ignavo", gonfiata eccessivamente dall'orchestrazione, e la mielosa "Canzone sensuale" sono i vertici di pathos romantico, ma anche i brani resi peggio.
Meglio, molto meglio, quando i Marlene si caricano di stranezze, come nell'atmosfera far-west su cupi cerchi di chitarra di "Fantasmi", con gli sgraziatissimi ululati di controcoro e la carica elettrica del finale. Il corpo centrale paga però l'ulteriore dazio dei troppi brani minori, magari non riempitivi in senso stretto, ma sicuramente non brillanti (l'onirica "Abbracciami"; i giochi di ralenti e ripartenze di "Sapore di miele"; la tenerezza sfuocata di "Canzone ecologica"). Per ritrovare uno spunto significativo bisogna finire in orbita Csi, con la title track, tradizionale rock-song epica con inciso e muro chitarristico efficaci.
Disco atipico e coraggioso, con una solida idea di fondo, tanto lavoro e tanta buona volontà, Uno non riesce a tradurre le voglie in adeguate canzoni compiute, riuscendo piuttosto solo a far intuire, a tratti e a livello di atmosfera, il valore che aspirava a raggiungere.
Fonte: ondarock.it