Cesare Cremonini “Io e quell’angelo custode di Giorgio Gaber”
2019
Cesare Cremonini racconta il suo rapporto di lavoro e amicizia con il grande Giorgio Gaber, nell’appuntamento milanese al Piccolo Teatro dove ha avuto luogo la rassegnata dedicata al Signor G.
“No, non ho mai avuto modo di incontrarlo o di vederlo a teatro. Questione di anagrafe. Però mi è capitato nella vita, Giorgio Gaber, in un momento cruciale, dopo la sbornia del successo dei Lùnapop”.
Queste le parole dell’artista che racconta la sua passione sfrenata per la musica di Gaber, ascoltata quasi di nascosto la notte con le cuffiette nelle orecchie.
“Ho conosciuto Gaber a ventitré, ventiquattro anni, dopo una sbornia molto grande, quella della mia carriera. Dopo il boom dei Lùnapop ero un imbecille incredibile” ha scherzato “Il successo ti stordisce, non capisci se sei al centro dell’universo o se è tutta un’illusione. E non capisci nulla per un po’ di anni. Quando mi sono ripreso ho iniziato a riprendere in mano me stesso e mi sono trovato impreparato. Ero diventato solista e in Italia, quando vuoi diventare un cantautore, sei costantemente paragonato ad alcuni grossi nomi”.
L’importanza di Gaber nella sua vita, sia artistica che privata, è stata tale tanto che per Cremonini quest’uomo è quasi come un padre “All’inizio della mia carriera non ce l’avrei mai fatta se non mi fossi messo alla ricerca di padri. Gaber lo è stato per me: mi ha appassionato così tanto anche perché era un vero musicista. Una persona che non si era inventato una poetica partendo esclusivamente dai propri pensieri. Non ci si improvvisava musicisti, al tempo”.
Gaber era per Cremonini anche un esempio, in campo artistico le sue canzoni musicali (che più che solo canzoni sono vere e proprie opere), un maestro di vita “Aveva un’attenzione verso l’uomo, verso l’umanità di ognuno, che ha fatto diventare ogni canzone sull’uomo una canzone politica. Le sue canzoni parlano di noi perché parlano di lui, nella sua più profonda intimità. Quando parla dell’essere umano, va tutelata. Ovviamente la mia è una presunzione: so che dentro le mie canzoni c’è il sangue e quindi le difendo.”.
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